Cesare Pavese nasce il 9 settembre 1908 a Santo Stefano Belbo, paesino delle Langhe in provincia di Cuneo, dove il padre, cancelliere del tribunale di Torino, aveva un podere. Ben presto la famiglia si trasferisce a Torino, anche se il giovane scrittore rimpiangerà sempre con malinconia i luoghi e i paesaggi del suo paese, visti come simbolo di serenità e spensieratezza e come luoghi dove trascorrere sempre le vacanze.
Una volta nella città piemontese di lì a poco il padre muore; questo episodio inciderà molto sull'indole del ragazzo, già di per sé scontroso e introverso. Già nell'età dell'adolescenza Pavese manifestava attitudini assai diverse da quelle dei suoi coetanei. Timido ed introverso, amante dei libri e della natura, vedeva il contatto umano come il fumo negli occhi, preferendo lunghe passeggiate nei boschi in cui osservava farfalle e uccelli.
Rimasto dunque solo con la madre, anche quest'ultima aveva subìto un duro contraccolpo alla perdita del marito. Rifugiatasi nel suo dolore e irrigiditasi nei confronti del figlio, questa comincia a manifestare freddezza e riserbo, attuando un sistema educativo più consono ad un padre "vecchio stampo" che a una madre prodiga di affetto.
Un altro aspetto inquietante che si ricava dalla personalità del giovane Pavese è la sua già ben delineata "vocazione" al suicidio (quella che lui stesso chiamerà il "vizio assurdo"), che si riscontra in quasi tutte le lettere del periodo liceale, soprattutto quelle dirette all'amico Mario Sturani.
Il profilo e le ragioni del temperamento pavesiano, segnato da profondi tormenti e da una drammatica oscillazione fra il desiderio di solitudine e il bisogno degli altri, è stato letto in più modi: per alcuni sarebbe il fisiologico risultato di un'introversione tipica dell'adolescenza, per altri la risultante dei traumi infantili sopra richiamati. Per altri ancora vi si cela il dramma dell'impotenza sessuale, forse indimostrabile ma che trapela in controluce in alcune pagine del suo celebre diario "Il Mestiere di vivere".
Compie gli studi a Torino dove ha come professore al liceo Augusto Monti, figura di grande prestigio della Torino antifascista e al quale molti intellettuali torinesi di quegli anni devono molto. Durante questi anni Cesare Pavese prende anche parte ad alcune iniziative politiche a cui aderisce con riluttanza e resistenza, assorbito com'è da problematiche squisitamente letterarie.
Successivamente si iscrive all'Università nella Facoltà di Lettere. Mettendo a frutto i suoi studi di letteratura inglese, dopo la laurea (presenta la tesi "Sulla interpretazione della poesia di Walt Whitman"), si dedica a un'intensa attività di traduzioni di scrittori americani (come ad esempio Sinclair Lewis, Herman Melville, Sherwood Anderson).
Nel 1931 Pavese perde la madre, in un periodo già pieno di difficoltà. Lo scrittore non è iscritto al partito fascista e la sua condizione lavorativa è molto precaria, riuscendo solo saltuariamente a insegnare in istituti scolastici pubblici e privati. Dopo l'arresto di Leone Ginzburg, un celebre intellettuale antifascista, anche Pavese viene condannato al confino per aver tentato di proteggere una donna iscritta al partito comunista; passa un anno a Brancaleone Calabro, dove inizia a scrivere il già citato diario "Il mestiere di vivere" (edito postumo nel 1952). Intanto diviene, nel 1934, direttore della rivista "Cultura".
Tornato a Torino pubblica la sua prima raccolta di versi, "Lavorare stanca" (1936), quasi ignorata dalla critica; continua però a tradurre scrittori inglesi e americani (John Dos Passos, Gertrude Stein, Daniel Defoe) e collabora attivamente con la casa editrice Einaudi.
Il periodo compreso tra il 1936 e il 1949 la sua produzione letteraria è ricchissima.
Durante la guerra si nasconde a casa della sorella Maria, a Monferrato, il cui ricordo è descritto ne "La casa in collina". Il primo tentativo di suicidio avviene al suo ritorno in Piemonte, quando scopre che la donna di cui era innamorato nel frattempo si era sposata.
Alla fine della guerra si iscrive al Pci e pubblica sull'Unità "I dialoghi col compagno" (1945); nel 1950 pubblica "La luna e i falò", vincendo nello stesso anno il Premio Strega con "La bella estate".
Il 27 agosto 1950, in una camera d'albergo a Torino, Cesare Pavese, a soli 42 anni, si toglie la vita. Lascia scritto a penna sulla prima pagina di una copia de "I dialoghi con Leucò", prefigurando il clamore che la sua morte avrebbe suscitato: "Perdono a tutti e a tutti chiedo perdono. Va bene? Non fate troppi pettegolezzi".